La denuncia dei brogli
elettorali: 30 maggio 1924
Matteotti oppositore del fascismo
L'assassinio di Matteotti
La reazione
all'assassinio
La sorpresa delle opposizioni antifasciste
L'Aventino e la sua forza
L'Aventino e i suoi limiti
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Matteotti era un oppositore irriducibile del fascismo, uno che non sarebbe stato mai addomesticato. Non solo lo aveva provato con tutto il suo stile di vita, con la fredda tenace inflessibile determinazione con cui dirigeva il partito socialista unitario di cui era il segretario politico, con il coraggio con cui aveva sfidato tanti pericoli e con cui aveva resistito alle precedenti aggressioni fasciste. Ma anche il suo metodo di oppositore era diverso. Egli evitava sia la fraseologia rivoluzionaria e la retorica, sia la manovra astuta e la tattica sapiente. La sua opposizione era radicale e si basava su una documentazione precisa e rigorosa; la sua parola era scarna ma ricca di contenuto e inesorabile di logica.
Matteotti aveva pronunciato alla Camera, nella seduta del 30 maggio 1924, il più stringente e implacabile atto d’accusa contro la maggioranza governativa. Denunciò spietatamente, senza lasciarsi arrestare dalle violente, continue interruzioni fasciste, i singoli attentati fascisti alla libertà elettorale. Condensando i rilievi singoli in sintesi impressionanti, egli denunziò che su ottomila comuni italiani, la possibilità di parlare in pubblico per le opposizioni si era ridotta a un piccolissimo numero di casi. Molti di questi candidati avevano dovuto cambiare residenza, molti rinunziare alla candidatura. Sfilarono nella requisitoria matteottiana le illegalità e i soprusi attinenti alle operazioni elettorali.
Matteotti si era rivelato come l’ostacolo principale, e bisognava eliminarlo. Non oserei affermare che l’ordine di ucciderlo sia partito direttamente da Mussolini, quel che è certo è che il delitto è nato nell’atmosfera di intimidazione, di minacce, di cinismo brutale che Mussolini si preoccupava di mantenere con le sue stesse parole. Sulla necessità di dare una lezione a Matteotti si era già espresso pubblicamente “Il Popolo d’Italia”, organo personale di Mussolini. Più tardi i memoriali dei suoi collaboratori verranno a provare che proprio la banda degli assassini, che aveva compiuto alcuni dei misfatti precedenti e che ebbe poi l’incarico di dare la lezione a Matteotti, si annidava all’ombra protettrice del Viminale.
Il 10 giugno 1924 questa banda aggrediva l’onorevole Matteotti sul lungotevere Arnaldo da Brescia, in pieno giorno - tanta era la certezza dell’impunità - e lo trascinava a forza su un’automobile, dove l’assassinio veniva consumato. Noi non sapremo mai con certezza i particolari tragici di quelli che furono i momenti supremi del martire. Conoscendone la fierezza, l’indomito coraggio, la fermezza morale, e conoscendo, per contro, la ferocia belluina dei sicari fascisti, possiamo immaginare, se non i particolari, almeno quella che fu l’essenza del dramma. Da quel confronto Matteotti non poteva che uscire cadavere, qualunque fossero le intenzioni iniziali dei suoi aggressori, perché egli non era uomo cui si potesse imporre silenzio altrimenti che con la morte e perché i sicari non erano uomini che potessero comunque arrestarsi dinanzi a nessuna considerazione di umanità.
Si può dire che si siano manifestate, fin dal primo momento, due diverse concezioni della politica aventiniana: c’era da un lato una tattica attesista, che si limitava praticamente alla protesta morale, e dall’altro c’era chi voleva che il blocco delle opposizioni assumesse le iniziative necessarie per provocare un vero rovesciamento di indirizzo politico, una reale svolta democratica. Sotto questo aspetto la coalizione aventiniana fu certamente un fatto positivo: i comitati delle opposizioni sorti in tutte le principali città operarono seriamente e furono un anticipo di quelli che dovevano essere vent’anni dopo i Comitati di liberazione nazionale.
Quando si sparse la notizia del delitto consumato in piena Roma, enorme fu l’impressione che si sollevò in tutto il popolo italiano e lasciò gli animi attoniti e sospesi. L’ondata di commozione straripando in poche ore dal palazzo di Montecitorio, invase Roma, dilagò per l’Italia, si ripercosse ai quattro canti dell’Europa e del mondo civile, e investendo il regime lo fece scricchiolare dalle fondamenta. Molti fascisti furono presi dal panico e si diedero a pensare come potessero sottrarsi alle responsabilità del regime. Vi fu un brevissimo periodo, fra il 12 e il 15, in cui il fascismo sembrò veramente agonizzare.
Il delitto Matteotti aveva colto di sorpresa non solo l’opinione pubblica ma le stesse opposizioni che non offrivano certo prospettive di successione immediata al fascismo. Nuoceva indubbiamente ad una valida lotta antifascista il mancato approfondimento del carattere del fenomeno fascista. Nell’immensa maggioranza degli antifascisti era ancora diffusa l’illusione che si trattasse soltanto di una “parentesi”, di un’aberrazione momentanea, di un fenomeno caratteristico della situazione patologica del dopoguerra, destinato comunque ad essere riassorbito.
Credo sia lecito affermare che nei primissimi giorni dopo la notizia del delitto, una qualunque azione di forza, un appello alle masse o anche semplicemente, forse, l’atto risoluto di un gruppo di audaci avrebbe potuto rovesciare la situazione. Lo spirito pubblico in quei giorni era con l’opposizione. L’impressione che Mussolini fosse in procinto di essere liquidato faceva sì che ben pochi fossero disposti a impegnarsi in sua difesa e un atto di audacia avrebbe probabilmente trascinato i più larghi consensi. È molto semplicistico però pronunciare oggi delle condanne contro gli uni o contro gli altri, attribuire delle colpe o delle benemerenze, affermare che questi o quelli avevano ragione. La verità è che un’azione comune richiede in generale unità di obiettivi e di metodi e l’una e l’altra mancavano ai partiti antifascisti.
La reazione delle opposizioni al delitto Matteotti fu l’abbandono dell’aula parlamentare per non assistere neppure alle ipocrite dichiarazioni che Mussolini avrebbe fatto. Il 27 giugno Turati pronunciò a nome di tutte le opposizioni il discorso in ricordo di Matteotti e dichiarò che le circostanze del delitto “rendono impossibile alle opposizioni, finché durino le circostanze presenti, la partecipazione ai lavori della Camera”. Ma era impossibile metter d’accordo i partiti aventiniani su un’azione comune, e l’Aventino si riduceva ad una vuota protesta e ad una vana attesa. la timidezza degli aventiniani favorì il giuoco degli avversari, la ripresa di Mussolini e il desiderio di tutte le forze conservatrici.
Giacomo Matteotti, Il fascismo della prima ora. Pubblicazione postuma a cura del Partito Socialista Unitario con Prefazione, Roma, Tipografica italiana, [1924]
Giacomo Matteotti, La commemorazione. La mozione delle opposizioni. L’ultimo discorso, Roma, Partito Socialista Unitario, 1924
Prima pagina di “Critica Sociale. Rivista quindicinale del socialismo”, anno XXXIV, n. 12, Milano, 16-30 giugno 1924
Necrologio, prima pagina di “Pensiero e Volontà”,
anno I, n. 13, Roma, 1° luglio 1924
Foto racconto del rapimento e dell’assassinio, in “Il Foto Giornale”, Anno I, n. 4, Torino, 1-14 settembre 1924
Il vindice sacrificio di Giacomo Matteotti celebrato da Filippo Turati (27 giugno 1924), Roma, Partito Socialista Unitario, 1924
Un cadavere che mette spavento, in “Pensiero e Volontà”, Anno I, n. 17, Roma, 1° settembre 1924
Le opposizioni parlamentari nel presente momento politico, Milano, Edizioni “Corbaccio”, 1924
Parla l’opposizione. La battaglia parlamentare dell’opposizione, Milano, “Umana” Pubblicazioni periodiche, 1924